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Maradona cinque anni dopo: il mito che il calcio non dimentica

Cristiano Abbruzzese
maradona

L’eredità umana e calcistica di Diego Armando Maradona

Cinque anni possono dissolversi in un istante. Il mondo si fermava il 25 novembre 2020 e il calcio perdeva Diego Armando Maradona, mentre la pandemia costringeva tutti a chiudersi in casa. Da allora l’assenza di Diego non ha mai smesso di pesare, perché il suo rapporto con il pallone non apparteneva al semplice gioco. Era un legame autentico, viscerale. Quel pallone che molti trattano come un oggetto, per lui era un compagno di vita, qualcosa che amava senza riserve.

Diego e il pallone: un’unione irripetibile

Si pensa a ciò che ha scritto Eduardo Galeano, immaginando Maradona fermare con naturalezza un pallone infangato durante una festa di gala. Oppure alla visione di Paolo Sorrentino: un Diego ormai affaticato, ma ancora capace di palleggiare per ore in silenzio, come se il mondo attorno non avesse alcun peso. Sono immagini che spiegano meglio di tante parole la natura di un talento che sfidava la logica.

La grandezza e i suoi demoni

Il pallone lo ha portato fuori dalla povertà di Villa Fiorito, gli ha dato fama, ricchezza e un amore popolare che pochi esseri umani hanno conosciuto. Eppure non è bastato a liberarlo dai fantasmi che lo hanno accompagnato per tutta la vita. Il modo in cui ha lasciato Napoli, il crollo del Mondiale di Usa ’94 e gli ultimi anni difficili raccontano un uomo consumato e, allo stesso tempo, sfruttato.

Un mito che continua a vivere

Oggi il suo nome vive nello Stadio Diego Armando Maradona, nei murales della città, nelle celebrazioni dei due scudetti, nelle serie e nei documentari, ma soprattutto negli occhi di chi continua a cercare in rete le sue giocate. Ogni volta che quelle immagini scorrono, nasce la stessa domanda: era davvero possibile? Ecco il punto. La risposta non conta. L’emozione sì. Chi ha visto Maradona giocare sa di portare con sé un privilegio che nessuno potrà mai togliere.

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