Domenico Morfeo tra genio, rimpianti e verità mai taciute
La parabola di Domenico Morfeo continua a evocare il fascino dei casi irrisolti. Talento cristallino, sinistro raffinato, un potenziale che sembrava destinato a segnare un’epoca. Lui stesso ammette la colpa più grande. «Non sono sempre stato un professionista. Con un’altra testa sarei arrivato molto più lontano», ha affermato con sincerità in un’intervista a La Gazzetta dello Sport.
A distanza di anni resta la sensazione di un genio mai del tutto liberato, un talento ingabbiato nelle proprie contraddizioni. Oggi gestisce un ristorante a Parma, parla senza filtri, ripercorre una carriera vissuta tra lampi di classe e rimpianti.
Domenico Morfeo tra genio, rimpianti e verità mai taciute
«Giocavo con incoscienza, è stata la mia fortuna e il mio limite», racconta pensando all’Europeo Under 21 del 1996, quando segnò il rigore decisivo contro la Spagna. «Il calcio mi ha dato tutto, ma in certe situazioni è stato un nemico».
Non mancano i dissapori. «Ho litigato con tanti. Le amicizie vere nel pallone non esistono. Se devo fare un nome, dico Ghirardi. Io sarei rimasto anche in B, ma lui mi fece la guerra».
Parma, Bergamo e Verona sono i luoghi della versione migliore di sé. «Lì ero libero di essere me stesso. Non amavo le imposizioni tattiche». E un ringraziamento speciale va a Prandelli: «È stato un secondo padre. Il migliore che abbia mai avuto».
Il ricordo scivola poi su Adriano e Gilardino. «Adri era un animale, il più forte mai visto. Con Gila ci siamo divertiti, quanti assist…».
Sull’Inter resta un rammarico evidente. «Con la dieci addosso potevo fare di più. So di aver fatto arrabbiare Moratti».
L’ultimo giudizio è netto. «Avevo le qualità per la Nazionale, non la testa. Oggi sto bene così. Il calcio non mi manca. Quello che vedo adesso non mi piace, non tornerei mai».
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