La hybris del Barcellona e altri, sintesi di memorabili suicidi sportivi

Per ogni eroe è necessario un antagonista: l’Inter eroica contro un Barcellona supponente
SUICIDI SPORTIVI – Nella letteratura greca il termine hybris definisce quella presunzione che sfocia nell’oblio di sé e nella violazione dei codici sociali e morali. Quanto accaduto martedì sera a San Siro nella semifinale di ritorno di Champions tra Inter e Barcellona sembra la perfetta riscrittura di una tragedia euripidea su un campo da gioco: gli antieroi catalani a un passo dal trionfo restano vittime di loro stessi e della loro fatale superbia. L’ingresso di un Lewandowski claudicante a cui si è aggiunta la totale assenza di malizia nei minuti finali, giocati con la linea difensiva ad altezza della metà campo, ha favorito l’epilogo con Acerbi a vestire i panni dell’eroe omerico.
Tafazzismi recenti, dal Milan a Tsitsipas
Nel gergo comune per definire episodi dove l’arroganza è pari solo all’autolesionismo si usa il termine tafazzismo, dal nome del personaggio interpretato da Giacomo Poretti nel programma “Mai dire gol”, sempre intento a prendersi a colpi di bottiglia nelle parti nobili, vicino al basso ventre.
Sul podio ideale del tafazzismo sportivo nel 2024/2025 va senza dubbio la stagione del Milan per intero, con lo zenit dell’eliminazione nei sedicesimi di CL ad opera del Feyenoord a cui aveva sottratto solo poche settimane prima il suo top player. Santiago Gimenez.
Curiosamente, nelle stesse ore in cui il Milan veniva estromesso dalla Coppa, il tennista greco Stefanos Tsitsipas, numero 11 nel ranking Atp ed uscito solo ieri degli Internazionali d’Italia, era impegnato nella sfida dei sedicesimi del Qatar Open 500 con il serbo Hamad Medjedovic, numero 73 del circuito.
Un incontro sul filo dell’equilibrio sino al terzo set, quando il 21enne serbo, sul 5-4 in suo favore, si era infortunato al flessore della coscia e vistosi costretto a ricorrere al medical time -out.
Rientrato in campo per rispetto verso avversario e pubblico più che per velleità di successo, tanto da portare i bookmakers alla chiusura anticipata delle scommesse sull’incontro, tutti credevano in una facile vittoria del greco, tutti meno che lo stesso Tsitsipas, capace, di fronte a un avversario immobile, di non riuscire a mettere più una risposta in campo, per poi perdere rovinosamente al tie-break decisivo.
Un breviario delle sconfitte più impreviste e memorabili
La storia dello sport nel suo complesso annovera numerosi di questi “suicidi sportivi”, talmente clamorosi da consegnare alla memoria degli appassionati più le gesta dei vinti che quelle dei vincitori.
Eccessiva sicurezza, beffardi allineamenti astrali o imprevisti tragicomici: ecco un personalissimo breviario dei tre “suicidi sportivi” che ancora oggi a distanza di anni mantengono intatto il grado di incredulità e stupore.
3° posto: La Premier League “scivolata” via dai piedi di Steven Gerrard
Nella stagione 2013/2014 il Liverpool di Brendan Rodgers è protagonista di una lotta serrata al vertice con il Manchester City, appena un punto avanti per la squadra di Manuel Pellegrini e il Chelsea di Josè Mourinho indietro di due, al terzo posto.
I tifosi dei Reds credono in un titolo che sfugge da 24 anni e Il 27 aprile del 2014, quando ad Anfield si gioca la terz’ultima giornata ad affrontarsi sono proprio Liverpool e Chelsea.
La partita è nervosa, comprensibile vista la posta in palio, e la paura prevale sullo spettacolo.
Al minuto 46’ Steven Gerrard, il Golden Boy di Anfield, diventa involontario artefice di uno shock collettivo: manca il controllo su un facile passaggio corto nella sua metà campo e nel tentativo di recuperare è tradito dal manto erboso di Anfield, perde l’appoggio e scivola rovinosamente sul teereno di gioco. La palla è così facile preda di Demba Ba che si invola e indisturbato batte Mignolet; Su Anfield scende un silenzio figlio della stessa incredulità provata da un bambino a cui viene rivelata l’inesistenza di Babbo Natale e i fantasmi di 24 anni senza titolo nazionale riaffollano la Kop. Il Chelsea vincerà 2 a 0 e Gerrard non potrà mai coronare il sogno di conquistare la Premier League da capitano dei Reds.
Fortuna che in Inghilterra non ci sia un Varriale pronto a rimestare nel doloroso passato come fece con Walter Zenga ricordandogli la famigerata uscita a vuoto nella semifinale persa ai rigori con l’Argentina ad Italia ‘90, in una indimenticata lite televisiva.
2° posto: Falcons in the cage, come entrare nella storia dalla porta sbagliata
Nella cultura americana il tema dello sfavorito che cerca la sua rivalsa nei confronti del più popolare è l’archetipo narrativo maggiore nella storia delle arti, dalla letteratura al cinema. Lo sport in qualità di romanzo popolare e collettivo vive a maggior ragione di queste storie, che però non vedono sempre l’happy end.
Il 5 febbraio 2017 al Nrg stadium di Houston, in occasione del 51esimo SuperBowl, l’American Dream degli Atlanta Falcons, la franchigia più vecchia a non aver mai vinto un Vince Lombardi Trophy, si trasformò un incubo senza precedenti dal quale, a distanza di otto anni, la squadra non si è risvegliata.
I Falcons, per la seconda volta nella loro storia al Superbowl, stavano stravincendo contro i New England Patriots di Tom Brady, leader di un gruppo che ha riscritto tutti i record nella storia della NFL. A un solo quarto dal termine i Falcons conducevano per 28 a 9, un abisso insomma. L’ingresso nella Storia sembrava ormai questione di minuti, un lento countdown verso la gloria.
Nell’ultimo quarto accadde l’inspiegabile,con i Falcons, forse già convinti di aver portato a termine l’impresa,non pervenuti e Tom Brady attraversato da uno stato di grazia sovrannaturale,trascinatore dei suoi alla parità e alla vittoria nei tempi supplementari. Un Superbowl da primato considerato che vennero infranti più di 30 Superbowl’s record individuali e di squadra e che ha ribadito come il confine tra vincitori e vinti sia asi sempre una questione di poche yards.
Da allora i Falcons non hanno più raggiunto la postseason NFL, in conseguenza di un trauma difficile da superare a testimonianza di come delle volte le favole non abbiano lieto fine e come a ricevere il titolo di reginetta di fine anno scolastico sia sempre la più pubblicamente ammirata quanto segretamente detestata.
1° posto: “Do a Bradbury”, restare in piedi contro le avversità
Se sei nato in Australia e pratichi uno sport del ghiaccio, in una terra dove il rugby e il nuoto vantano un’adesione fideistica sin dalla culla, significa che non difetti di personalità. Se a questo aggiungi la riluttanza verso un destino che si accanisce con infortuni di crescente gravità in prossimità dell’appuntamento più importante della vita per uno sportivo, le Olimpiadi, sei un campione.
Ammesso che ti presenti alle Olimpiadi Invernali di Salt Lake City del 2002, avendo affrontato la rottura di due vertebre del collo, e regali all’Australia la prima medaglia d’oro delle Olimpiadi invernali nella sua storia, in quel caso sei Steven Bradbury. Campione australiano dello short track, protagonista di una delle vittorie più rocambolesche, complice uno dei rari casi di “suicidio sportivo di massa” che lo sport ricordi.
Se le cadute sono parte integrante di una gara di velocità, per di più su una pista di ghiaccio, il percorso che porta Bradbury alla finale ha un che di mistico: accede alla semifinale con l’ultimo tempo utile, ripescato in seguito alla squalifica del campione del mondo in carica Marc Gagnon e alla finale grazie alle cadute di tre dei quattro pattinatori che lo precedono. Nella finale si supera ogni previsione: Bradbury viene subito distanziato dai quattro pattinatori di testa, più giovani e veloci, e ad ogni passaggio cronometrico il distacco aumenta.
Nell’ultimo dei cinque giri previsti i quattro si sfidano in un corpo a corpo per l’oro olimpico, ai 40 metri conclusivi un contatto fa cadere tutti giù come birilli, Bradbury incredulo taglia il traguardo con le braccia al cielo, è la prima medaglia d’oro per l’Australia alle Olimpiadi Invernali.
Salito sul podio annuncia il ritiro dalle competizioni in un ideale e vissero tutti felici e contenti.