Arrivato a Roma, sponda giallorossa, nell’estate del 2017 Aleksandar Kolarov è considerato un vero e proprio leader nella squadra allenata da Di Francesco.
Il calciatore serbo è conosciuto non solo per le sue doti tecniche, ma anche per la sua cattiveria agonistica e per non essere un simpatizzante delle interviste. Nella giornata di ieri, però, Kolarov ha rilasciato delle dichiarazioni ad asroma.com per raccontare sé stesso e analizzare il momento vissuto dalla Roma.
Partiamo dall’inizio. Chi era Aleksandar da bambino?
“Un bambino come tutti gli altri. Ovviamente vengo da un Paese come la Serbia, dove non c’erano molte possibilità visto il periodo in cui sono cresciuto. Per questo il pallone era un’ossessione, non solo per me ma anche per tutti i miei amici. Dopo un po’ è diventato un sogno, già da piccolo ero convinto che sarei arrivato in alto”.
Quando hai capito che avresti fatto il calciatore?
“Gioco da quando ho sette anni, poi a 17 anni ero al Cukaricki Stankom e sono passato dalla Primavera alla Prima Squadra. Ho cominciato a fare sul serio e dovevo scegliere se continuare a fare il calciatore o continuare la scuola: ho preso la strada del pallone, ma dopo ho proseguito comunque gli studi come potevo. È lì che ho capito che il calcio sarebbe stato davvero il mio futuro”.
Chi ti ha insegnato a calciare le punizioni?
“Mi è sempre piaciuto, fin da quando ero bambino. La potenza ce l’ho sempre avuta, ma le punizioni non si insegnano, si allenano. Io mi alleno tanto. E ogni tanto faccio qualche gol bello. Ma è solo allenamento”.
Qual è il consiglio migliore che hai ricevuto in carriera?
“A un ragazzo puoi dire tutto quello che vuoi, come all’uomo, ma finché non vai contro un muro non le realizzi certe cose, devi capirle da solo. Io credo sempre nel lavoro e nell’onestà. Devi presentarti bene al campo di allenamento, con la motivazione giusta e con la disciplina. Non basta alzarsi una mattina e dire “dai, oggi sono calciatore”, bisogna pensarlo sempre, anche nei momenti meno belli, perché è lì che serve andare più forte”.
In molti ti descrivono come serio e burbero: vuoi smentire questa voce?
“Non c’è niente da smentire, io sono serio. Sono il primo a scherzare, se serve, ma ci sono i momenti in cui non si può. Non mi piace scherzare in campo. Ovviamente ci sono allenamenti in cui ci si diverte di più, ma quando si lavora si lavora, non mi piace quando uno sottovaluta gli allenamenti: lì mi incazzo proprio”.
Quando torni a casa però un sorriso lo farai…
“Io rido sempre, tranne quando sono nervoso: capita a tutti. La cosa che non mi piace è una: siccome sono un personaggio noto e sono un calciatore, qualcuno si prende troppa confidenza con me se mi incontra per strada. E io mi chiedo: ma ci conosciamo? Sarà anche un mio difetto, ma sono fatto così”.
Il calcio però sembra darti tante emozioni…
“Per me, visto che ti alleni tutta la settimana, non c’è una cosa più bella della vittoria, al fischio finale mi sento volare, mi sento più libero. Quando non vinciamo sono teso e non riesco a dormire. Noi lavoriamo per questo. Sono sempre contento dopo un successo, tutte le volte, mi basta vincere contro una squadra di terza categoria per provare una sensazione incredibile”.
Chi è il tuo migliore amico nel calcio?
“Ne ho tanti, con molti di loro ci sono cresciuto. Non vivendo più in Serbia, la vita mi ha diviso con molti di loro. Il mio migliore amico è Dorde Rakic, mi ci sento spesso, ha giocato in Italia alla Reggina, in Germania e in tante altre parti del mondo. Edin (Dzeko, ndr) lo conosco da tanti anni ed è uno dei miei migliori amici. Daniele (De Rossi, ndr) lo conoscevo prima, ma ora che ci gioco insieme e ho approfondito la persona lo ritengo tra i miei migliori amici. Ho un ottimo rapporto anche con Kompany, del City. Ma la vita è così, spesso ci si allontana”.
Al tuo arrivo a Roma si è parlato tanto del tuo passato alla Lazio: poi è arrivato quel gol a Bergamo alla prima di campionato. Cosa hai pensato dopo aver segnato?
“Quando ho ricevuto la chiamata della Roma non ho mai avuto dubbi, anche perché già conoscevo la piazza e gli eventuali problemi. Ma sapevo che lavorando bene e facendo il mio mestiere non avrei fatto fatica in questa avventura. La punizione segnata alla prima partita è stata una bella spinta. Io non mi guardo mai indietro, so che a qualcuno inizialmente il mio passato alla Lazio ha dato fastidio, da una parte e dall’altra. Questo però fa parte del calcio e dell’ambiente di questa città. Ognuno ha la sua opinione ed è libero di esprimerla”.
Che consiglio daresti a un ragazzo che sogna la carriera da professionista?
“Essere onesti con se stessi. Tutti i genitori vogliono bene ai figli, ma alcuni esagerano. Io sono stato fortunato, perché mia madre non capiva niente di calcio e mio padre non giocava. Ho fatto il mio percorso da solo. Oggi appena uno fa un gol a dieci anni, la mamma e il papà sono i primi a dire “questo è più forte di Totti e di De Rossi”. È sbagliato. Se mio figlio domani vuole fare il calciatore ma non è capace, sarò io il primo a dirgli che è scarso, serve la verità. Ce ne sono tanti di ragazzi bravi, ma a quindici o sedici anni non sono diventati già giocatori forti, c’è tanta pasta ancora da mangiare per crescere. Serve onestà con i giovani e loro devono essere bravi a lavorare tanto. Faccio un esempio. Nicolò Zaniolo è un ragazzo dal futuro top. Mi piace come si comporta, è serio e lavora. Lui sì che ha la testa giusta. Ma se dovessi vederlo volare troppo, sarei il primo a tarpargli le ali. Per il suo bene”.
Hai pensato la stessa cosa quando hai sentito dei giudizi sui nuovi acquisti?
“L’equilibrio serve sempre, ma in questa città non c’è e lo sappiamo. Ieri era il compleanno di Patrik Schick, sai quanti anni ha? Ventitré! E quando è arrivato qui ne aveva 21. È giovane, tanto giovane. È un ragazzo. Ora sta bene fisicamente e speriamo che faccia tanti gol. Il tempo serve a quell’età. Non è come me, ho 32 anni, ho esperienza e il giudizio può essere diverso. Come Schick ce ne sono tanti in squadra, che prima erano considerati scarsi, ma che ora si stanno esprimendo al meglio e sono veramente bravi”.
De Rossi è il Capitano di questa squadra: che valore ha un giocatore come lui, anche in questo periodo di assenza dai campi di gioco?
“È fondamentale. In carriera ne ho visti pochi così tifosi e così attaccati alla squadra in cui gioca. Io ora do tutto per la Roma, ma non posso mai dire di essere più romanista di De Rossi. Non ho mai visto uno così attaccato alla maglia. Lui è fondamentale nello spogliatoio, anche quando non gioca. E ora che sta tornando in campo si sente subito”.