A ben guardare, pare che negli ultimi giorni gli argomenti più gettonati nel pallone siano la diatriba sui trofei tra le famiglie Nedved-Materazzi (per carità, che tristezza); l’inefficienza di Dazn (e se invece fosse una spinta per migliorare finalmente la digitalizzazione di questo paese?) che peraltro detiene già una parte dei diritti sul calcio; o la serie tv su Totti, che onestamente si basa su vicende troppo recenti per farci una fiction.
Tanto premesso, il punto vero è che il vecchio problema del pallone sgonfio, dei costi maggiori dei ricavi, dell’immobilismo su qualsiasi forma di rinnovamento, è ancora la cosa tristemente più in voga a dispetto delle futili questioni extra campo.
“La Gazzetta dello Sport” pubblica oggi una inchiesta sul profondo rosso che investe solo la serie A relativo alla stagione 2019-20; c’è solo da immaginarsi quante difficoltà maggiori abbiano i club più piccoli nelle categorie inferiori.
Sgombriamo subito il campo da equivoci; sì, c’entra anche l’emergenza sanitaria, che ha messo ulteriormente in ginocchio le società, ma non è tutta qua la spiegazione.
PROFONDO ROSSO CALCIO ITALIANO: 754 MILIONI DI PERDITE TOTALI
Dai 194 milioni di rosso del Milan ai 204 della Roma, con i giallorossi che contano su 343 milioni di costi contro 153 milioni di ricavi, uno sbilancio davvero notevole.
Dicevamo della pandemia: se questa può aver dato una ulteriore mazzata ai conti delle società, è pur vero che il profondo rosso per i club è una costante da diversi anni.
Oltre alla mancanza di strutture adeguate che garantiscano più entrate e il lavoro poco proficuo sui ricavi commerciali, la voce “salari e stipendi” resta il serbatoio dove rovesciare la maggior parte della ricchezza dei proprietari.
La perdita aggregata è di 754 milioni e nonostante le plusvalenze siano in leggero calo; e i 500 milioni di ricavi in meno (350 dipesi dal covid), solo tre squadre, Cagliari, Fiorentina e Napoli, non avevano debiti bancari al 30 giugno 2020.
In crescita anche i debiti verso i fornitori e l’esposizione bancaria, a 1,5 miliardi. Numeri terribili, su cui la pandemia ha avuto un ruolo, ma non basta a spiegare il tutto.
ANNI IN FOTOCOPIA
Quante volte abbiamo denunciato situazioni di questo tipo? Per quante volte il libro contabile del calcio italiano è stato un bagno di sangue? Da quanti anni gravitano intorno al pallone italico proprietari di dubbia consistenza?
Da tempo immemore si continua a spendere pur non avendone possibilità, e la cosa più importante continua a essere azzuffarsi per i diritti televisivi ritenendoli l’unico tubo dell’ossigeno di questo sport.
Il futuro è nero, anzi, rosso. E il calcio italiano di cambiare marcia, proprio non ne vuol sapere. Nessuna regola certa, squadre indebitate che continuano a stare in campionati d’alto livello, a discapito dei pesci piccoli sui quali i provvedimenti di penalizzazioni e retrocessioni vengono applicati con irrisoria facilità, coi risultati che si traducono sul campo.
Come ha detto Parolo dopo Bayern Monaco-Lazio, il calcio italiano è in preda a isterismi e immobilismi tattici, a discapito della spensieratezza, e l’ennesimo fallimento internazionale dei club italiani ne è la nuova riprova.
Sporcizia sotto al tappeto e poca voglia di cambiare realmente le cose e rendere questo circo sostenibile. Cose già viste. Pandemia o meno, fa poca differenza.