[df-subtitle]Glerean: “I bianscoscudati devono per forza vincere, anche un pareggio servirebbe a poco. Perciò dovrebbe buttare il cuore oltre l’ostacolo. Sarà importante come vivranno le difficoltà. Il Cittadella è ormai una squadra che sanno stare in pianta stabile nei quartieri alti della classifica. Hanno una mentalità positiva e una grandissima società alle spalle, fanno sempre il passo giusto”[/df-subtitle]
Dopodomani pomeriggio alle ore 15, al Tombolato di Cittadella si giocherà il derby tra i granata e il primo Padova targato Centurioni. I padroni di casa sono reduci dal pareggio in casa del Foggia, mentre i biancoscudati dalla sconfitta a domicilio contro il Perugia, che è costato il secondo esonero stagionale di Bisoli. Ora per la salvezza si fa sempre più dura.
“Europa Calcio” ha contattato in esclusiva Ezio Glerean, ora sulla panchina della Marosticense, compagine vicentina impegnata nel campionato di Promozione, ma in passato allenatore sia del Cittadella – dal 1996 al 2002 e con cui ha ottenuto il grande salto dalla C2 alla Serie B – sia del Padova, che ha guidato da luglio 2003 a febbraio 2004.
Glerean, il Cittadella è davvero una squadra da play-off?
“Penso proprio di sì. Il Cittadella è ormai una squadra che sa stare in pianta stabile nei quartieri alti della classifica. Ha una mentalità positiva e una grandissima società alle spalle, fa sempre il passo giusto. Sta lavorando molto bene e credo che anche quest’anno possa centrare l’obiettivo anche se in questo campionato la concorrenza è molto più folta“.
I granata non sono una piazza, diciamo, storica. Eppure ogni anno riesce sempre a disputare una stagione più che positiva. Qual è il segreto?
“Il segreto è semplicissimo: sono le persone, ovvero le persone che si trovano ancora lì dai tempi in cui c’ero io. Quando ero arrivato nel 1996 si era costituito un gruppo nuovo, dai magazzinieri ai massaggiatori e fino ai dottori. Lì c’è ancora il mio preparatore atletico. Alcuni giocatori che avevo io fanno gli assistenti a Venturato, lo staff è di lunga data. Firmai un contratto di tre anni e facemmo il doppio salto dalla C2 alla Serie B. Dissi subito al presidente che se avessimo trovato le persone giuste e avessimo coinvolto tutti quanti, avremmo potuto fare molto bene, e così fu. L’ultimo arrivato era Marchetti, mio compagno di squadra a Trento. E’ stato coinvolto prima nel settore giovanile e poi è diventato direttore sportivo prendendo le redini della squadra assieme a Maran, che era allenatore della Primavera. In questo senso c’è sempre stata continuità“.
Dopo di lei, i successivi tecnici – ossia Maran, Foscarini e ora Venturato – sono sempre rimasti a lungo. Cosa pensa di quest’ultimo?
“E’ un bravissimo allenatore, è umile e sa quello che deve fare. Ha le idee molto chiare e le sue squadre giocano un buon calcio. Anche lui, oltre alla tecnica e alla tattica, guarda alla disciplina e al gruppo. Questo fa poi la differenza. Come lo ero io al tempo e come lo è stato poi Foscarini, l’allenatore è parte della società e viene ascoltato, cosa che, salvo in qualche caso raro, non si fa più altrove. Ora l’allenatore è solo un numero, come può essere il magazziniere o il massaggiatore, ed è questo che il nostro calcio paga negli ultimi anni. La presenza organizzativa dell’allenatore che non c’è più, tranne che in qualche caso particolare come Cittadella, incida molto: adesso il tecnico è niente più che una persona la quale deve vincere le partite, e se non le vince deve farsi da parte. In Italia non c’è costruzione e nemmeno la possibilità di portare avanti i giovani, perché il tecnico sa che se deve solo fare risultato è costretto a puntare sui calciatori più esperti. A Cittadella invece si guarda molto anche ai giovani e a farli crescere, un esempio è Varnier che poi è andato all’Atalanta, o Kouamé“.
Al Padova c’è la situazione opposta…
“A Padova fanno appunto quello che fanno la maggior parte delle società italiane: esaltare un allenatore che l’anno prima ha vinto il campionato e crocifiggerlo nel momento in cui i risultati non arrivano. Questa è purtroppo è la nostra mentalità. Ci vorrebbe una società alle spalle che stia dalla parte dell’allenatore e lo faccia andare avanti nel progetto e che lo protegga anche dalle critiche dei tifosi. Bisoli secondo me è bravo e lo ha dimostrato, ma quando hai molte contestazioni e la società non ti difende, è chiaro che si destabilizza. E anche i giocatori purtroppo mollano quando succede questo. Se il club protegge l’allenatore, anche nei momenti duri, le cose diventano più semplici. Vedi lo stesso Cittadella: ha perso delle partite andando quasi fuori dai play-off, ma nessuno ha mai criticato Venturato. Questa è la differenza“.
Quindi ritiene un errore l’esonero di Bisoli?
“E’ stato un errore esonerarlo subito, mandarlo via nel momento in cui i risultati non arrivavano dopo un buon inizio. Quando la società non ti difende veramente e si schiera dalla parte dei tifosi, allora è finita, proprio come dicevo prima. Anche a Foscarini, che ritengo un grande tecnico e una bravissima persona, quando è arrivato a Padova non hanno dato nemmeno il tempo di lavorare“.
Quali problemi potrebbe trovare Centurioni?
“La difficoltà di Centurioni è che troverà un gruppo destabilizzato, nel senso che avrà dei giocatori che, anche se ci metteranno il massimo dell’impegno, non hanno più le certezze che possono avere i giocatori del Cittadella, che hanno saputo vivere la situazione negativa con la normalità che serve. Pensa che l’anno in cui eravamo andati in Serie B, a gennaio la società ha venduto due giocatori, Zancopè e Fantini – ovvero il portiere e il capocannoniere della squadra -, ed eravamo secondi in classifica. Io ero d’accordo con queste operazioni in quanto si trattava di una importante risorsa economica della società, ma poi in 8 partite avevamo fatto 1 punto. Andammo a 3 lunghezze dai play-out ma nessuno si era mai permesso di criticarmi, perché con la società avevamo fatto un percorso. Poi trovammo il bandolo della matassa e vincemmo otto gare di fila e alla fine festeggiammo la promozione in Serie B. Non può quindi esistere che venga esonerato un tecnico che sbaglia quattro partite dopo aver vinto un campionato e iniziato bene quello successivo. Questo non è calcio, e la colpa è del sistema“.
Questione allenatore a parte, per il Padova ci sono possibilità di salvarsi?
“Io penso che nel calcio si possa fare tutto, l’ho toccato con mano quando ero andato in Serie B con il Cittadella dopo aver sfiorato i play-out. Però diventa diventa importante l’ambiente, perché se quest’ultimo non aiuta è tutto più complicato. Il Padova adesso è in una situazione critica dove hanno perso certezze e i giocatori che vanno in campo devono avere una grande unione e sentire i dettami del tecnico. Per vincere le partite ci vuole anche serenità e forza d’animo, non soltanto tecnica e tattica“.
Sabato che tipo di partita prevede?
“Credo che il Cittadella giocherà la partita attaccando come ogni partita che fa. Sicuramente il derby può portare qualche tensione in più, ma non penso che sia il caso dei granata. Mentre il Padova deve per forza vincere, anche un pareggio servirebbe a poco. Perciò dovrebbe buttare il cuore oltre l’ostacolo. Sarà importante come vivrà le difficoltà“.
Lei adesso allena la Marosticense. Come procede questa esperienza?
“Molto bene, ho accettato questa avventura per rimettermi in gioco e capire. Visto che ho scritto anche un libro (Il calcio e l’isola che non c’è, ndr) di come funzione il nostro calcio giovanile, se era giusto ciò che pensavo in quello scritto. Ed è stato proprio come credevo. Abbiamo un grande potenziale e giovani che possono crescere bene. Anche qui a Marostica abbiamo tanti ragazzi che fino a pochi mesi fa giocavano nella juniores e ora sono in Promozione, e stanno facendo bene. Abbiamo tante risorse in Italia, ma stiamo solo buttando via del tempo e dei potenziali talenti. Non possiamo accontentarci di vincere contro la Finlandia e di esultare come se avessimo vinto la Coppa del mondo. Dobbiamo essere all’altezza di Nazionali come Inghilterra, Francia e Spagna. Io son rientrato in questo mondo dei Dilettanti e vedo che c’è talmente tanto silenzio e tanto poco modo di pensare positivo verso i giovani. Un dato che fa pensare è quando chi ci dirige dall’alto ha poco a cuore il gioco, perché finire i campionati il 6 di maggio è una violenza nei confronti dei bambini: li si fa giocare di notte e al freddo, o alla mattina con i campi ghiacciati, invece di usare questi mesi di maggio, giungo e luglio. Dobbiamo iniziare ad aprire gli occhi: le società e i dirigenti non devono farsi violentare da chi ha fatto queste regole insulse del calcio, che non portano a nessuna cosa positiva. I nostri bambini hanno bisogno di giocare molte ore, ma sotto la luce del sole e non sotto i riflettori. E allora a questi personaggi che hanno fatto tali regole bisognerebbe dire: “Se avete giocato a calcio in un tempo dove per divertirsi bisognava giocare assieme e bene, tornate indietro sulle vostre idee e facciamo giocare i bambini durante il giorno. Fermiamo i campionati in quei tre mesi, sono mesi che fanno male a tutti. Ai genitori che devono correre in quelle strade poco sicure e tanto altre”.
Pensa che nell’Europa dell’est si fa proprio così, anche nelle massime serie. I campionati iniziano a luglio e si fermano da dicembre a febbraio proprio per le temperature particolarmente rigide.
“Ma sicuramente i Dilettanti dovrebbero chiudere in quel periodo e andare avanti d’estate. Ti faccio un esempio: il giorno di Pasqua c’è il Torneo delle Regioni, che ho fatto anche io a mio tempo, che è una bellissima vetrina per i nostri Dilettanti. Noi, oltre che a farci giocare con i fuori-quota, ci fanno giocare il campionato in contemporanea al Torneo: questo significa falsificare i campionati, in quanto vengono tolti giocatori alle prime squadre. La preoccupazione principale è far giocare le squadre in concomitanza. Andrebbe spostato tutto di una settimana, ma nulla. Questa è una violenza nei confronti di tutti quanti, e le società devono rendersene conto e ribellarsi a questa violenza, perché un buttar via soldi a danno delle stesso società“.
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