Due anni senza Maradona.
A Napoli, oggi, sono previste numerose iniziative per rendere omaggio ad un uomo che sì, da queste parti, ha fatto la differenza. E l’ha fatta in campo, grazie alle sue doti calcistiche fuori dalla norma, ma anche e soprattutto (suo malgrado) fuori dal rettangolo verde. La sua vita privata non è oggetto di discussione o di analisi, chiariamo subito quest’aspetto.
Per quelli della generazione napoletana che l’hanno vissuto, Diego Armando Maradona non ha rappresentato qualcosa di speciale nella vita di tutti i giorni. Ha rappresentato proprio tutto. Dall’esterno sembra, a giusta ragione, difficilissimo comprendere fino in fondo il legame viscerale che si è creato tra il più forte calciatore tutti i tempi e la città che lo ha abbracciato per sette, lunghi anni.
Scugnizzo come i napoletani, ragazzo di strada ecc. sono solo tentativi superficiali di giocare con gli stereotipi per tentare di spiegare un fenomeno ben più complesso. Per capire cosa è stato Maradona per Napoli non si può prescindere dal contesto storico, economico e calcistico della città nel 1984, anno del suo arrivo.
La città era dilaniata dai colpi mortali della criminalità organizzata. Erano gli anni della faida tra la N.C.O. (Nuova Camorra Organizzata) di O’ Professore Raffaele Cutolo e la N.F. (Nuova Famiglia) del cartello Nuvoletta, Alfieri e Bardellino. Una faida cruenta, sanguinaria, la cui tempistica coincise con il diffondersi della reti televisive generaliste. Un aspetto non di poco conto: le notizia che entravano nelle case degli italiani, tanto dalle reti nazionali quanto da quelle locali, accostavano Napoli al sangue, agli omicidi. Un aspetto che contribuì in maniera determinante alla creazione, nell’immaginario collettivo, dello stereotipo sulla città violenta.
Dal punto di vista economico-politico, il drammatico terremoto del 1980 in Irpinia portò con sé (oltre alle vittime) un innumerevole elenco di malaffare sulla ricostruzione. Tangenti, appalti, insomma qualcosa che è stato vissuto a livello nazionale una decina d’anni dopo con Tangentopoli. Anche questi episodi di cronaca contribuirono, con i notiziari delle tv generaliste, a rafforzare lo stereotipo e l’immagine del napoletano ladrone. Aggiungiamo, poi, la disoccupazione cronica e i disagi che ogni grande città porta ai propri cittadini.
Calcisticamente, infine, Napoli non era mai riuscita a vincere uno Scudetto. Qualche partecipazione a livello europeo, una Coppa Italia vinta militando in Serie B (record che ancora oggi resiste), la città festante solo perché si riusciva a battere la rivale Juventus. Insomma, pochissime soddisfazioni in tanti anni. In questo contesto, con un’immagine poco edificante di città sanguinaria e ladrona, venne annunciato l’ingaggio di Diego Armando Maradona.
Le vittorie che portarono la sua firma rappresentarono, ideologicamente, il riscatto di un Sud povero contro il Nord industrializzato, nell’eterna battaglia sociale nata con l’Unità d’Italia. Maradona era l’incarnazione del sentimento popolare, trasversale (professionisti e garzoni sedevano accanto allo stadio per abbracciarsi ad ogni goal o vittoria, appiattendo ogni stratificazione sociale). Napoli tutta vedeva in lui l’unico strumento di successo. Milano, Torino, Roma, non erano più campi tabù.
E la cronaca nazionale e locale riportava Napoli in prima pagina non più solo per questioni di cronaca nera. Maradona era riuscito nell’impresa di far parlare di una Napoli vittoriosa, seppur solo calcistica. Il riscatto d’immagine rappresentò un orgoglio per i tantissimi napoletani emigrati in Italia e all’estero, oltre che per coloro che erano rimasti.
Ecco perché oggi la città piange e gli rende onore a due anni dalla scomparsa. Diego non sarà mai solo un calciatore, il più forte di tutti i tempi.
Maradona, per Napoli, sarà sempre un orgoglio.