NAPOLI MARADONA DE LAURENTIIS – Fino a qualche tempo fa sembrava impensabile solo sentir parlare, in casa Napoli, di incentivi per lo Scudetto o per la vittoria della Champions League. Competizioni europee o tricolore erano infatti esclusive firmate da Diego Armando Maradona.
L’ultimo periodo ha avvicinato il club napoletano ai traguardi insperati, come l’essere sempre presente in Europa o attestarsi al vertice della competizione nazionale. Il tutto senza Maradona. Com’è possibile? La risposta è alquanto semplice e mal voluta dalla parte malsana dell’ambiente partenopeo: il merito va ascritto al club e, dunque, alle scelte operate nel tempo dal presidente Aurelio De Laurentiis.
Il numero uno della SSC Napoli viene spesso definito “visionario”. I fatti dicono che, tutto sommato, le sue “visioni” hanno trovato conferme nella realtà. Tutta la rosa in panchina (e non parte in Tribuna) sembrava una bestemmia, così come il terzo sponsor sulla maglia o la sostenibilità dei bilanci.
Oggi il Napoli attira alcune tra le società più importanti al mondo per partnership commerciali, vedi Amazon o Armani. Apre ai mercati orientali, ottimizza il marketing con maglie da gioco uniche (al di la del gusto personale, tutte le maglie cambiate in stagione negli ultimi anni sono andate a ruba tanto negli store ufficiali quanto sui canali di vendita online).
C’era il Napoli di Maradona, c’è il Napoli di De Laurentiis
De Laurentiis ha messo in gioco alcuni aspetti legati alla sacralità del calcio a Napoli ed i fatti gli danno ragione. Non ascolta la pancia dell’ambiente: l’unica volta che l’ha fatto, le cose non si sono messe benissimo con la permanenza dei senatori, l’allontanamento di Ancelotti e l’arrivo di Gattuso.
La scorsa estate è stato il regno della distopia quando ha finalmente compreso che bisognava totalmente rifondare lo spogliatoio. Per fortuna non ha ascoltato l’ambiente neanche quando veniva chiesta la testa dell’allenatore, colui che sta rendendo questo nuovo gruppo tra i più forti in ambito internazionale.
Il Napoli, nonostante la voglia di creare difficoltà da una parte rumorosa della città, quella napoletanocentrica legata alla propria iconografia di mandolino e pizza, si sta ergendo a modello di riferimento in Italia. Un modello che non lede alcuna maestà se il gusto di chi guida la società lo porta a preferire la pizza romana alla napoletana o la carbonara alla genovese. Sono gusti personali ed insindacabili, che il teatro dell’assurdo eleva a critica tanto da mettere in discussione la persona. Insomma, giudizi tanto inutili quanto socialmente infantili.
Il Napoli senza pizza a portafoglio viene celebrato per la sua gestione societaria, per i risultati, per il gioco espresso, che non sono frutto di casualità. Dal Napoli di Maradona al Napoli di De Laurentiis c’è un’autostrada, per fortuna non l’A16, che potrà riportare al Sud una centralità calcistica che avevamo dimenticato.
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